L’icona birmana

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Aung San Suu Kyi, vincitrice delle elezioni birmane è stata definita, di volta in volta, un’icona, una madre del suo popolo, una “Lady” dal regista francese Luc Besson.

Forse tutte queste definizioni le possono calzare, forse alcune di esse contengono una parte di verità ma tutte appaiono insufficienti a definire la donna politica.
Certo è che essa ha portato la National League for Democracy, di cui è la leader indiscussa da sempre, a dominare il round elettorale conquistando l’80% dei consensi. Una vittoria per la democrazia e per la “Signora della gente” dopo 50 anni di dittatura militare che ha ridotto la Birmania a fanalino di coda di quell’area geografica.
“Mamma Suu”, al di la del mito, sa che il suo popolo si aspetta da questa vittoria un cambiamento tangibile delle difficili condizioni di vita subite fino ad ora.

L’immagine con cui siamo abituati a vederla, ce l’ha sempre mostrata come una piccola, esile donna, sguardo malinconico e una piega della bocca amara ma dal piglio deciso. Un fiore fra i capelli, sempre rinnovato e mai appassito nell’immaginario collettivo.

Un’icona dalle piccole dimensioni ma d’inestimabile valore tanto da ricevere un Nobel.
Dopo questa vittoria, Aung San Suu Kyi non rappresenterà più solo il volto della sofferenza perché dovrà assumere quello della forza, necessaria alla gestione del potere politico. Che non deluda la sua immagine di paladina dei diritti umani, che porti avanti una gestione democratica del potere, che non contempli vendette ed esclusioni, in un’ azione di conciliazione nazionale per consentire in modo pacifico la via alla democrazia e al cambiamento.
Nella Birmania di oggi sono ancora vigenti leggi strumentali, voluti dal regime militare che ha governato sino ad ora. Per questo ci aspettiamo che uno dei principali obiettivi  sia la riforma della Carta costituzionale che impedisce di fatto a San Suu Kyi di essere eletta presidente del Paese, in quanto vedova e madre di cittadini stranieri. Un articolo costituzionale vincolante, che non le ha concesso di rivestire incarichi neanche come leader dell’opposizione.  Un’icona? Forse. Divenuta tale ad un prezzo altissimo, sacrificando la libertà propria e della sua famiglia.

San Suu Kyi giunge al potere con almeno venticinque anni di ritardo rispetto alla sua prima vittoria, nel 1990, annullata dalla giunta militare e dalla successiva prigionia che non le ha però impedito di svolgere la sua campagna contro il regime e di mantenere l’affetto del suo popolo .
La si descriverà come  una donna esile, riservata,  diplomatica, amante della musica e della famiglia, qualità apparentemente di stile femminile ma anche premio Nobel per la Pace. Di lei si è raccontata l’umana vicenda familiare, di una madre che non ha cresciuto i propri i figli né di avere potuto essere vicino al marito morente lontano dalla Birmania, impossibilitata da uscire dal Paese per potere svolgere la sua battaglia. Rinunce inconcepibili per molte donne ma che fanno la differenza appunto, tra il divenire icona e l’essere serenamente persona.
In questi giorni tutta la stampa parla di lei e del futuro della Birmania.
Ma di lei poco si è parlato durante il lungo periodo di detenzione domiciliare in cui è stata costretta per 15 anni per impedirle di esprimere il proprio pensiero e fare attività politica.  La solitudine in cui ha vissuto, ha sviluppato  sicuramente in lei una forte capacità di resistenza e di forza per la conquista della sua ed altrui libertà. La coscienza democratica era in lei.
Di lei ricordiamo ancora le immagini delle sue lacrime versate in silenzio per la manifestazione dei monaci buddisti, ma anche la tenace mediatrice tra la voglia di  rivoluzione popolare  ed il potere militare.

Sulla situazione Birmana ormai sono puntati gli occhi del Mondo. Sarà difficile per le forze politiche sconfitte di opporsi alle riforme che consentano anche a San Suu Kyi di rivestire cariche politiche. Il Mondo ha atteso con ansia, insieme al popolo birmano, che la democrazia vincesse sulle armi e difficilmente la Signora potrebbe accettare di rinunciare all’impegno diretto che le viene richiesto dal suo popolo.
La storia personale di questa  donna, forse “icona” suo malgrado, è già nella storia passata, il futuro che l’attende apparterrà a lei e al popolo che tanto l’ha seguita ed amata.

 

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Profilo Autore

Marta Ajò

Marta Ajò, scrittrice, giornalista dal 1981 (tessera nr.69160). Fondatrice e direttrice del Portale delle Donne: www.donneierioggiedomani.it (2005/2017). Direttrice responsabile della collana editoriale Donne Ieri Oggi e Domani-KKIEN Publisghing International. Ha scritto: "Viaggio in terza classe", Nilde Iotti, raccontata in "Le italiane", "Un tè al cimitero", "Il trasloco", "La donna nel socialismo Italiano tra cronaca e storia 1892-1978; ha curato “Matera 2019. Gli Stati Generali delle donne sono in movimento”, "Guida ai diritti delle donne immigrate", "Donna, Immigrazione, Lavoro - Il lavoro nel mezzogiorno tra marginalità e risorse", "Donne e Lavoro”. Nel 1997 ha progettato la realizzazione del primo sito web della "Commissione Nazionale per la Parità e le Pari Opportunità" della Presidenza del Consiglio dei Ministri per il quale è stata Editor/content manager fino al 2004. Dal 2000 al 2003, Project manager e direttrice responsabile del sito www.lantia.it, un portale di informazione cinematografica. Per la sua attività giornalistica e di scrittrice ha vinto diversi premi. Prima di passare al giornalismo è stata: Consigliere circoscrizionale del Comune di Roma, Vice Presidente del Comitato di parità presso il Ministero del Lavoro, Presidente del Comitato di parità presso il Ministero degli Affari Esteri e Consigliere regionale di parità presso l'Ufficio del lavoro della Regione Lazio.

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