LE VETRINE SONO BUGIARDE ED INSIEME SINCERE

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Ci sono storie d’amore e di odio tra donne e vetrine.

Le effimere e la fortezza

 

Ci sono storie d’amore e di odio tra donne e vetrine.

La mia è come Guerra e Pace.

Ci sono momenti della mia vita in cui procedo senza il bisogno di interrogare quegli specchi spudoratamente  sinceri.  Perchè sì, lo specchio di casa ti fotografa, chissà perchè, sempre diversa da loro, che ti rimandano invece una immagine di te senza sconti: forse perchè non ti prendono in immobile falsissima posa ma mentre sei mossa e dunque assolutamente vera.

A casa davanti allo specchio casa sei tu: ma tu-e-basta.

Fuori, invece, quelli specchi senza padrona ti rimandano Te-come-fossi-un’Altra: e tu la guardi e la giudichi questa Te-Estranea eppure parente, Altra eppure intima, tanto intima che potresti anche distruggerla.

In altre stagioni della mia vita la misura cambia: in ognuna delle vetrine mi cerco, cerco una me che spero migliore, migliore di come mi vedo.

(O forse come io mi…immagino? Eh sì perchè fiumi di letteratura, tra psicologia e neuroscienze, descrivono l’immagine-di-sè come una costruzione, come mito e cinema, non come reale. Ognuno si guarda per come si pensa)

Allora la nostra relazione con le vetrine è forse misura di molto di più.

E forse tutto sta nel vedersi in quella traslucenza imparando un’arte difficile: mitezza.

Mitezza verso i rotoli di ciccia quando mi scappano, verso quel capello storto che si ribella alla piega, piega perfetta e dunque violenta… come il mio giudizio su di me quando inflessibile… si mantiene risentito.

Perchè sì, se ci penso, la ricerca di perfezione è sempre così: violenta.

L’imperfezione invece, evoca mitezza.

E’ scuola e palestra di identità e di relazione. Difatti: se fossimo senza limiti e limite, come sapremmo che ci ci ama… ci ama davvero? La perfezione non chiede sforzi, salti, coraggio. L’imperfezione che tutti accomuna è amore alla prova del fuoco. A prova di vetrine.

Il punto allora è tutto qui.

Guardarsi innamorate.

Perchè lo sguardo di chi ama è sempre un trattamento di bellezza: lo dice la ricerca neuroscientifica che quando amiamo i centri cognitivi che presiedono il giudizio un pò si inceppano: ed è così che ogni scaraffone diventa il più grande spettacolo dopo il Big Bang!

E’ amore, Watson. Lo dice la scienza.

Allora l’immagine di me che si moltiplica e rinfrange in vetrine potrebbe diventare un rito magico e insieme scientifico, nel quale imparare ad accogliere mille me dai miei occhi deformate e… amarle tutte. Una ad una: ognuna di noi ha parti di sè che vorrebbe scambiare con altre, quelle parti del proprio “sè corporeo” che forse riflettono pezzi di storia che non hanno altre parole se non quelle mute che sono andate a prendere forma proprio lì: in un sedere troppo grosso, una coscia a materasso, una camminata un pò sbilenca. E se tutto di me invocasse mitezza per me? E se anche l’imperfezione che vorrei non mi urlasse ad ogni vetrina stesse lì non ad insultarmi ma, incredibilmente, a invocare a me mitezza per me, a dire che sono viva così, perfettamente imperfetta, e che l’identità, come la relazione, richiede coraggio?

Allora proviamo un esercizio di scienza e amore per la prossima stagione quando arriva: innamorarci del nostro corpo proprio dove non ci piace, dove non vorremmo guardarlo in nessuna catarinfrangente vetrina.

Il punto è sì: prendersi una scuffia. Innamorarsi ed esercitare uno sguardo mite e non spietato. Non sarà narcisismo e neppure egopatia. Sarà, forse, l’improvviso sano e sanificatore arrivo… della fine della violenza ?  Se ammutolisco il violento che mi parla dentro forse quello non prenderà alcuna forma incarnandosi in qualcuno fuori di me.

E questo amore non è cieco: è che vede l’invisibile.

Perchè questo è il più importante punto: non il vestito, il trucco, la scarpa, i capelli, la vetrina.

Ditelo, vi prego, alle donne che stanno sbocciando: la bellezza è intrisa di imperfezione, l’innamoramento verso quel che deborda, è ai margini, è storto e persino deforme… previene la violenza. Ogni forma.

Ditelo alle figlie femmine. E ditelo alle mamme dei figli maschi.

Ditelo anche agli uomini che stanno crescendo. Chi rifiuta parti di sé è destinato a partorire, in mille diversi modi possibili, uno spietato e violento sé.

Perché le vetrine non ci guardano, sono guardate.

E se sono miti o spietate dipende da chi le guarda.

Loro riflettono. Eh sì: le vetrine sono specchi scientifici.

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Profilo Autore

ANTONIA CHIARA SCARDICCHIO

Antonia Chiara Scardicchio, dal 1998 è formatrice e studiosa di educazione degli adulti, resilienza e connessioni tra arte e scienza. Dal 2005 ricercatrice presso l’Università di Foggia dove insegna presso il c.d.l. specialistica. Nel marzo 2014 è stata insignita della prima edizione del Premio Italiano di Pedagogia. Dalla primavera 2013 è coordinatore del Festival della Complessità per l’AIEMS (Ass. It. di Epistemologia e Metodologia Sistemica) a Bari. E’ autrice di pubblicazioni scientifiche internazionali e nazionali. Appassionata di neuroscienze, Zavattini, patatine fritte, Erri De Luca, Jovanotti, filosofia, arte contemporanea, Italo Calvino, Roberto Benigni e Gregory Bateson. Con le Edizioni La Meridiana ha fondato, nel gennaio 2015, la prima HOPE SCHOOL italiana: www.hopeschool.edizionilameridiana.it

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