Grand Hotel Budapest: una favola sullo stile e la grazia

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Gran Hotel Budapest, il nuovo film di Wes Anderson, una vera delizia di stile e grazia.

di Serena Dinelli

Una vera delizia, il nuovo film di Wes Anderson. Più di altri il regista texano è in sintonia con la lunga storia europea, così ricca di bellezza e di incubi. Ne racconta un passaggio drammatico, dagli anni’20 ai giorni nostri, in un fantastico, inventato, paese della Mittel Europa. Lo fa attraverso un favoloso gioco di storie, di stili cinematografici e di architettura e design, di effetti speciali e straordinari personaggi e interpreti…

In un albergo liberty in decadenza, precipitato nelle durezze spettrali del realismo socialista, un vecchio signore racconta come a suo tempo ne è diventato il proprietario, dopo molte avventure. Lì, da garzocello alle prime armi, piccolo immigrato senza le carte in regola, ha iniziato la sua vita incontrando l’altro protagonista: il grande concierge Gustave, la vera anima dell’Hotel all’apice del suo splendore, prima della caduta.

Gustave, un genio dello stile e della grazia: quando offre la sua gentilezza, con profondo rispetto, ai corpi e all’anima smarrita delle vecchie signore; quando, dopo aver regnato nei saloni, mangia impeccabile nella sua stanzetta; o tratta il galeotto orribile dalla faccia sfregiata con cui è finito in prigione… In un miracolo di eleganza Gustave sa accogliere qualsiasi diversità, a cominciare da quella di Zero, il garzoncello smarrito. All’orrore, alla violenza, alla rapinosità ipocrita, oppone una resistenza gentile e incrollabile…

Gli artisti hanno il radar, e c’è molto altro in questo film… come quando nella favola irrompono i mostruosi miliziani, con le uniformi fregiate da frecce, così simili a quelle dei proto nazisti ungheresi di Horthy, annuncio silenzioso di quel che sta succedendo proprio oggi in Ungheria, e che tutti fanno finta di non sapere e non vedere…
Stile e grazia fondano un’etica, sembra dire Wes. Con sensibilità d’artista coglie un tema chiave del nostro tempo: in cui a volte, tutti presi dalle nostre amate libertà, dimentichiamo l’ ‘etichetta’, e cioè appunto la ‘piccola etica’ quotidiana di ogni gesto.

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