Lingua sessista?

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di M.P.Ercolini

Il linguaggio è un fatto simbolico: ogni parola pronunciata ad alta voce porta con sé il pensiero di chi la esprime e provoca a sua volta un pensiero in chi la ascolta

Il linguaggio è un fatto simbolico: ogni parola pronunciata ad alta voce porta con sé il pensiero di chi la esprime e provoca a sua volta un pensiero in chi la ascolta; la lingua sottintende quindi, un modo di essere e di pensare e, di conseguenza, può essere più o meno sessista secondo l’uso che si decide di farne.

Resta il fatto che le lingue si rivelano spesso inadeguate ad esprimere il genere, perché si basano su abitudini linguistiche, sociali e culturali di stampo androcentrico.

Nelle lingue neo-latine il fenomeno forse è più pronunciato ma forme di sessismo si ritrovano ovunque.

Pensiamo all’uso del cognome.
Miriam Makeba ha numerosi cognomi: Zensile Makeba Qgwashu Nguvama Yiketheli Nxgowa Bantana Balomzi Xa Ufnu Ubajabulisa Ubaphekeli Mbiza Yotshwala Sithi Xa Saku Qgiba Ukutja Sithathe Izitsha Sizi Khabe Singama Lawu Singama Qgwashu Singama Nqamla Nqgithi
Come ogni altra bambina e bambino del Sudafrica nero ha ereditato il nome di tutti i suoi antenati maschi. Madri, nonne, ave malgrado tanta sovrabbondanza, sono state completamente cancellate.
In Grecia, le figlie prendono il genitivo del cognome paterno (per capirci: si dice Mario Rossi ma Maria dei Rossi): fanno dunque parte delle proprietà di una stirpe maschile, quasi fossero oggetti.
La disciplina del cognome di famiglia e della sua attribuzione ai figli sta lentamente cambiando in tutta Europa: in Francia, in Germania, in Austria, nel Regno Unito, seppure con normative diverse, i genitori possono scegliere tra uno dei due cognomi. In Spagna vige la regola del doppio cognome. In Italia, nonostante le raccomandazioni del Consiglio d’Europa (1271 del ’95 e 1362 del ’98) e l’articolo 16 della Convenzione di New York (del 18/12/1979, ratificata in Italia il 14/3/1985), i sette disegni di legge depositati in Parlamento si sono arenati e la battaglia è attualmente sostenuta dal gruppo di Facebook “Libertà di scelta nella trasmissione del cognome ai figli”.

Tornando più propriamente alla lingua, è evidente che esistano molte differenze tra una e l’altra.
In spagnolo e in portoghese, ad esempio, tutte le professioni hanno un genere maschile ed uno femminile, senza che si sia mai aperto un dibattito su questo.
In Italia, invece, non è così.

La nostra lingua enfatizza fortemente il maschile, mentre oscura e sottostima il femminile.
Molti termini, nelle due forme, cambiano di valore e al femminile sono spesso meno nobili.
Un chiaro esempio viene dal termine “maestro/a. Quando si parla di insegnanti elementari si usano entrambe le forme, ma quando ci si riferisce alle accezioni socialmente più rilevanti, si utilizza soltanto il maschile: registi, artisti, musicisti sono maestri anche se donne, eppure da un punto di vista strettamente linguistico il termine femminile esiste, ma non è abbastanza prestigioso.
Le nostre direttrici d’orchestra sono “maestri” e non “maestre”. A proposito: provate a digitare su Google, “direttrice d’orchestra: vi apparirà subito il suggerimento: “forse cercavi direttore d’orchestra”.
La stessa logica vale per segretario e segretaria, consigliere e consigliera…
Diciamo “Lucia Martini è una brava consigliera per le sue amiche ma diciamo anche “il consigliere comunale, Lucia Martini”.

Un altro esempio.
Un cortigiano è un uomo che vive a corte, un massaggiatore è un kinesiterapista, un professionista è un uomo che esercita con professionalità il suo mestiere, un intrattenitore è un individuo socievole, un uomo disponibile è una persona gentile…
Cortigiana, massaggiatrice, professionista, intrattenitrice, donna disponibile, significano sempre la stessa cosa: prostituta.

Il sessismo si ritrova nella struttura stessa della lingua.

Le concordanze al maschile e l’uso generico del termine uomo per riferirsi ad insiemi misti, ne sono un esempio.
“Maria, Paolo e Francesca sono stati buonissimi” significa fare due ingiustizie, una a Maria e a Francesca, che sono più numerose, un’altra all’armonia della lingua italiana, che trova un aggettivo maschile vicino ad un sostantivo femminile.
“Lorena, Francesco, Gisella e Sandra sono arrivati stamattina.
Proprio non va!
Quando si parla di gruppi misti, il termine uomo rende invisibili le donne.
Diritti dell’uomo, lavoro dell’uomo, uomo qualunque, uomini primitivi…

<<continua>>

 

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Profilo Autore

Caterina Della Torre

Proprietaria di www.dols.it di cui è direttrice editoriale e general manger Nata a Bari nel 1958, sposata con una una figlia. Linguista, laureata in russo e inglese, passata al marketing ed alla comunicazione. Dopo cinque anni in Armando Testa, dove seguiva i mercati dell’Est Europa per il new business e dopo una breve esperienza in un network interazionale di pubblicità, ha iniziato a lavorare su Internet. Dopo una breve conoscenza di Webgrrls Italy, passa nel 1998 a progettare con tre socie il sito delle donne on line, dedicato a quello che le donne volevano incontrare su Internet e non trovavano ancora. L’esperienza di dol’s le ha permesso di coniugare la sua esperienza di marketing, comunicazione ed anche l’aspetto linguistico (conosce l’inglese, il russo, il tedesco, il francese, lo spagnolo e altre lingue minori :) ). Specializzata in pubbliche relazioni e marketing della comunicazione, si occupa di lavoro (con uno sguardo all’imprenditoria e al diritto del lavoro), solidarietà, formazione (è stata docente di webmarketing per IFOA, Galdus e Talete). Organizzatrice di eventi indirizzati ad un pubblico femminile, da più di 10 anni si occupa di pari opportunità. Redattrice e content manager per dol’s, ha scritto molti degli articoli pubblicati su www.dols.it.

9 commenti

  1. Belle iniziative e bell’articolo, che però veicola un’incompletezza di non poco conto. Riporto da questo scritto:
    «Pensiamo all’uso del cognome.
    (…) In Italia (…) i sette disegni di legge depositati in Parlamento si sono arenati e la battaglia è attualmente sostenuta dal gruppo di Facebook “Libertà di scelta nella trasmissione del cognome ai figli”»….
    Forse è un po’ colpa del nostro giovane gruppo che non si è fin qui esposto abbastanza, un po’ meno posso esserne responsabile io che ho proprio iniziato per prima in Italia nel 1980 questa lotta, continuandola ad ampio raggio per anni, anche con un progetto di legge sul doppio cognome portato a conoscenza di tutta la sinistra parlamentare e in più riprese, che ho preso contatto con i fondatori del sito Cognome materno (da cui poi è nato il gruppo di FB citato nel pezzo) iniziando a collaborare con loro su quel sito per la sezione dedicata al matrimonio e non alle convivenze, fino a quando la pagina è stata soppressa, senza che del mio lavoro – precedente a quello degli altri – sia mai stato fatto cenno in tutte le situazioni successive.
    Credo che si debba reagire a questa paradossale cancellazione, mi auguro dovuta solo a leggerezza, di un’attività femminile e femminista, con una più corretta diffusione degli ITER completi.
    Iole Natoli per “ITER DEL COGNOME MATERNO IN ITALIA nei regimi di matrimonio e di convivenza”, fondato su Facebook nell’aprile 2010.

  2. Maria Pia Ercolini on

    L’articolo per dol’s è stato scritto nei primi mesi del 2010 e il nuovo gruppo di Fb di Iole Natoli per “ITER DEL COGNOME MATERNO IN ITALIA nei regimi di matrimonio e di convivenza”,non era ancora stato fondato.
    In questi giorni l’articolo è stato rediretto sul nuovo sito, perché la tematica centrale, sul linguaggio, è rimasta sostanzialmente identica.
    Mi fa molto piacere che nel frattempo si siano mosse altre cose e d’altra parte, io stessa ho portato alcuni aggiornamenti al tema del cognome materno e ho realizzato unità didattiche ad hoc per le scuole elementari, medie e superiori, presentate a settembre in formato ppt al Convegno di Venezia “Nominare per esistere” (in corso di pubblicazione cartacea con gli Atti del Comvegno). Intanto mi sono appena iscritta al nuovo gruppo di fb e conto di collaborare con le partecipanti.

  3. Accolgo la spiegazione qui fornita, fermo restando che, se il gruppo è nato solo nell’aprile del 2010, la mia attività personale per una legge sul doppio cognome nasce nel 1979 con un articolo e prosegue con una causa civile del 1980 contro lo Stato, nonché con scritti coevi e successivi.
    Eccoli tutti:
    1979_“La soppressione della donna nella struttura familiare” (Il foglio d’arte;
    1980_ “Ma è proprio obbligatorio il cognome del marito?” L’Ora, 11 marzo); 

    1980_ “Ai figli il cognome della donna” (L’Ora 30 dicembre);

    1982_ “Perché al figlio il cognome del padre?” (L’Ora 25 gennaio);

    1988 _“Evoluzione sociale, modello familiare e formazione dell’identità: ipotesi per un mutamento” (Il Confronto meridionale, maggio);
    
1996_“Figli e figlie nati di donna” (noidonne, giugno 1996, Lettera nella rubrica di Roberta Tatafiore).

    L’articolo del 1988 è stato riportato diverso tempo fa sul sito http://www.kultbazar.com, al link che in precedenza ho indicato. Che tutto ciò sia potuto sfuggire all’attenzione – e al tempo della mia causa civile quotidiani e riviste nazionali riportarono il caso ampiamente – testimonia di quanto le iniziative e gli scritti sul cognome materno vengano spesso coperti, volontariamente o per pura e irriflessa consuetudine, da quel silenzio con il quale da secoli si occulta la protesta delle donne.
    Sono certa che dopo questo chiarimento, che spero porti a un più diretto incontro, faremo insieme tutto quanto è nelle nostre possibilità affinché nessuno sforzo, singolo o collettivo, in questo campo possa andare nuovamente disperso.
    Spero anche che molte di voi possano essere presenti a Torino per un interessantissimo convegno sulle “Culture Indigene di Pace” che avrà luogo dal 16 al 18 marzo, nel cui ambito è previsto per domenica 18 il mio intervento dal titolo: “Ruolo discriminatorio del cognome di famiglia nel sistema patrilineare italiano”.

  4. Confesso: anche io ignoravo il lodevole impegno di Iole Natoli per introdurre in Italia il doppio cognome per legge, che risale già agli anni ’80. E’ un tema che mi sta a cuore da sempre, ne scrissi su La Voce repubblicana ancora prima, ma è solo dovuto al fatto che ho più anni, non rivendico primogeniture. Mi compiaccio, invece, del fatto che grazie a FB ed al sito di Caterina si possano condividere tante esperienze e vorrei che le nostre energie convergessero per una forte pressione su questo Parlamento per una legge sul doppio cognome, anche se c’è poco da sperare, purtroppo.
    L’articolo originale di Maria Pia era sul linguaggio e la questione dei cognomi era solo accenanta, ma nelle repliche ha dimenticato di citare l’impegno in proposito della Rete per la Parità, anche se proprio lei è stata invitata a parlarne alla nostra assemblea di marzo 2010 e ha ascoltato direttamente a Venezia la mia relazione di cui è stata ampia notizia online vedi :http://www.reteperlaparita.org/wp/?p=366
    Inoltre la Rete per la Parità ha inserito la richiesta del doppio cognome all’interno dell’iniziativa:
    Tre leggi a costo zero.
    vedi
    http://www.reteperlaparita.org/wp/?p=440
    Non è cero un rimprovero, ma online non sempre si può essere esaustive

  5. Maria Pia Ercolini on

    La replica voleva essere breve, ma in contemporanea ho scritto direttamente al gruppo fb “ITER DEL COGNOME…” a alla Rete dell’impegno della Rete per la Parità e degli interventi di Rosanna Oliva al Convegno di Venezia organizzato da Giuliana Giusti.
    Ecco il testo del mio messaggio: “La Rete per la parità ha creato un gruppo di lavoro che si occupa di dare visibilità alle donne: anche lì si è discusso di doppio cognome. Referente del gruppo Gigliola Corduas. Al convegno di Venezia dello scorso settembre, organizzato da Giuliana Giusti e incentrato sul cognome, per la Rete per la Parità ha partecipato Rosanna Oliva. Penso sarebbe opportuno contattare queste persone e unire le forze.”

  6. Maria Pia Ercolini on

    P.S. Detto fra noi, a me interessa che le cose si muovano, e sono grata a chiunque le muova!

  7. Il mio primo scritto sul doppio cognome, contenente i primi quattro articoli del progetto di legge, è del ’79 (“La soppressione della donna nella struttura familiare”). Dell’80 è l’inizio della causa civile, conclusasi nell’82.
    Non si tratta nemmeno per me di voler stabilire primogeniture, ma di esser fedeli all’idea che una storia delle donne non può esser fatta stralciando a nostro piacimento – e non mi sto riferendo a qualcuna di voi – iniziative che appaiono forse lontane nel tempo o poco in linea coi propri indirizzi del momento, ma, al contrario, raccogliendo e rendendo noti TUTTI gli elementi reali che possono concorrere a costituirla.
    Se soltanto qualcuna di noi accettasse il nascondimento, operato da altri in modo volontario o inconsapevole a seconda dei casi, della sua attività – direi meglio della sua vita concreta – verrebbe con ciò meno alle ragioni di fondo per le quali ci ritroviamo a chiedere diritti e giustizia, tradendo in primo luogo già se stessa.
    Come Maria Ercolini, sono lieta anch’io che si agitino in un modo o nell’altro le acque, ma trovo che ciò che si muove è ancora poco, a dispetto di sforzi singoli e collettivi, perché si possa guardare con soddisfazione al passato per dire: quella è soltanto la nostra bieca preistoria.
    Sono certa che questo contatto odierno avrà un seguito. In attesa di nuovi sviluppi, saluto tutte e ritorno a un temporaneo silenzio.

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