Una mostra che vale un viaggio

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Steve McCurry:  estetica delle tracce di umanità.

 

Steve McCurry sembra un uomo qualsiasi. A vederlo lo prendi per un uomo qualsiasi e invece no,  è un uomo con un talento speciale: sa catturare i pensieri e le emozioni delle persone e riesce a veicolarli attraverso le immagini fotografiche a chiunque sia disposto a riceverli. Lo sa fare così bene che,  a volte,  riesce a fotografare pensieri ed emozioni di persone morte da secoli o da giorni ma che hanno lasciato tracce della loro umanità nelle cose,  nei manufatti: statue,  rovine,  oggetti personali,  rifiuti.
Ma c’è un’altra caratteristica del suo operato: la passione estetica. Che si tratti di dolore (soprattutto) o di serenità (più raramente) la ricerca del “bello” non è mai tradita. Scopri così che può esistere una estetica del dolore così come esiste l’estetica della felicità. La seconda è molto più socialmente accettabile e forse banale: il piacere del bello si accorda armonicamente col piacere della scena rappresentata. Ma quando la rappresentazione riguarda gli stenti,  la malattia,  la morte,  non è facile godere della bellezza dell’immagine senza percepire la dissonanza con il suo contenuto. Eppure,  così come nella musica la dissonanza può contribuire a creare pathos e partecipazione emotiva, anche nel caso di McCurry la bellezza delle sue immagini non alimenta l’estraniazione del soggetto dall’oggetto rappresentato ma, al contrario, ne potenzia al massimo la relazione empatica e comunicativa.

Davanti alla foto della ragazza afgana, che ha reso McCurry un mito ed è rimasta impressa nell’immaginario collettivo degli ultimi anni,  si rimane attoniti,  annichiliti come davanti a tutte le opere d’arte di eccellenza. E’ come se dalla superficie dell’immagine sgorgasse un getto impetuoso di pensieri ed emozioni e se ne vieni colpito ti inchioda sotto la sua pressione e non riesci più ad uscirne se non sospinto dagli urti di chi ti capita accanto. La capacità di McCurry è quella di essere nel posto giusto nel momento giusto ma di sapere come non perdere quell’opportunità. Anche le foto scattate di velocità,  senza posa e preparazione sono come frutto di una composizione attenta e meticolosa in studio. E’ questa la grandezza di un fotografo di strada,  la capacità di scegliere in pochi momenti la prospettiva più adatta e di discriminare istintivamente il microsecondo giusto nel quale premere il pulsante dello scatto, pochi istanti prima o dopo sarebbe solo spreco di gelatina cromatica. Altra impressionante caratteristica è l’assenza di elementi egocentrici nelle sue foto. McCurry non parla di se attraverso le immagini, si considera solo un tramite tra il soggetto e l’oggetto rappresentato, non prende parte alla reazione chimica, la rende solo possibile come un catalizzatore: il rapporto è diretto tra chi è fotografato e chi guarda la fotografia senza suggerimenti interpretativi e questo è anche facilitato dalla assoluta accettazione che hanno le persone fotografate del fotografo: nessun imbarazzo, nessun rifiuto,  McCurry è per loro un elemento naturale del contesto. McCurry non violenta la realtà,  la trasporta nello spazio e nel tempo verso altre destinazioni.

La mostra che si tiene a Roma dal 3 dicembre 2011 al 29 aprile 2012 è un’occasione formidabile per entrare in contatto con se stessi e con il suo mondo. Più di 200 fotografie scattate in pellicola e poi digitalizzate e riprodotte in dimensioni grandi, a volte ragguardevoli, con una nitidezza eccezionale. Alcune di esse sembrano dotate di profondità con un effetto 3D che fa a meno di occhiali e tecnologie avanzate. L’allestimento di Fabio Novembre è accattivante, hi-tech in netto contrasto con i contenuti fotografici ma mai prevaricante su questi. Una serie di cupole metalliche collegate tra loro da piccoli corridoi, a metà tra la inquietante minaccia di una ragnatela tecnologica e la rassicurante accoglienza di primitivi igloo, costituiscono il percorso di visita. Il punto di vista più adeguato per l’osservazione delle opere e per non disturbare la fruizione agli altri visitatori è il centro dello spazio delimitato dalla cupola-ragnatela. Questo fa sì che tutti coloro che entrano in una stanza debbano stringersi l’un l’altro al centro dello spazio curvo creando una specie di comunità temporanea di condivisione delle emozioni, come se la curvatura dello spazio fosse una specie di lente d’ingrandimento delle emozioni collettive.

Una mostra che vale un viaggio.

 

Roberto Meli. Sono nato qualche anno fa a Bari (chi lo dice che nascondere gli anni è un vezzo femminile ?). Ho studiato al liceo classico ma ho scelto Fisica all’università per poi laurearmi in Informatica. Ho vissuto a Bari,Firenze ed ora a Roma. Faccio l’imprenditore di una società del terziario avanzato (www.dpo.it) e ho il cruccio di non essere ancora riuscito a spiegare bene a mia madre come mi guadagno da vivere. Felicemente sposato da molti anni (con la stessa donna,pensate un po’),ho due magnifiche figlie che adoro. Sono geneticamente portato a tentare di conciliare gli estremi ed a perseguire un impossibile equilibrio tra questi,trovandomi spesso a vivere in una terra di nessuno che non è ne’ di qua ne’ di la’. Ho una cultura classica di base ma adoro la tecnologia. Mi considero un maturo adolescente,esternamente placido ma internamente in ebollizione. Ho un animo perentoriamente maschile ma con una componente femminile molto accentuata. Amo assumere il ruolo di ”avvocato del diavolo”e di ”cortese provocatore”ma,spero,senza dogmatismi. Credo che questo abbia favorito l’idea di dare un contributo a questo sito.

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Roberto Meli

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