Cancro, le donne più brave nei controlli

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Intervista con Umberto Veronesi,  oncologo e senatore (PD), Oggi  8 novembre 2016 l’Italia dice addio a Umberto Veronesi, noto oncologo, all’età di 90 anni.

Riportiamo un’intervista fattagli anni fa e presente su queste pagine.

“Le neoplasie femminili tradizionali (quelle al seno e all’utero) sono oggi molto più controllabili con la diagnosi precoce. Quelle maschili (polmone e prostata) meno”.

A dichiararlo è chi ha speso la vita a studiare e cercare di combattere quella che tra qualche decennio,  forse,  non sarà più una condanna a morte : il cancro.

Si tratta di Umberto Veronesi, oncologo di fama internazionale, senatore, che ad 83 anni è in forma davvero smagliante, grazie al rapporto con i suoi pazienti e alla ricerca. Ha smontato la convinzione parecchio diffusa che il cancro sia un business.

Allora, professore, le donne più brave degli uomini nella prevenzione?
Le differenze tra uomo e donna sono legate ai progressi della medicina: le neoplasie femminili tradizionali (quelle al seno e all’utero) sono oggi molto più controllabili con la diagnosi precoce; quelle maschili (polmone e prostata) meno. Inoltre l’emancipazione culturale e un buon livello di informazione sulla prevenzione sono ormai diffusi in tutti gli strati della popolazione femminile. Le donne quindi partecipano di più alle campagne di controllo (pap-test, ecografia e mammografia) e sollecitano il rispetto dei tempi (le liste d’attesa nella prevenzione sono mal tollerate). Gli uomini invece sono più discontinui, si avvicinano in ritardo ai test e non rispettano la periodicità dei controlli.

L’età?
Arrivano da me pazienti più giovani, che chiedono controlli di prevenzione senza essere sollecitate da familiari, amici o partner, consapevoli che il tumore si può curare. Molte donne fanno della prevenzione un moderno cavallo di battaglia per la salvaguardia della vita, ma anche della femminilità. Soprattutto oggi che la guarigione non è un’utopia e la bellezza può restare integra o essere ripristinata.

Il contatto continuo con i malati terminali non la demoralizza? Come vive il pensiero che si muoia spesso soffrendo?
Ho sempre avvertito come un pungolo l’urgenza di combattere la sofferenza e la mia battaglia contro il cancro è stata in effetti anche una sfida alla sofferenza. Anche perché, se ci sono malattie per ora ancora inguaribili, non esistono malattie incurabili: si può sempre fare qualcosa per alleviare il dolore, fisico e umano, del malato. Inoltre, nel rapporto del medico con il malato c’è un dare e ricevere reciproco.

Quindi?
L’essere fisicamente a contatto quotidiano con la sofferenza e il dolore, mi ha arricchito interiormente, portandomi a una condizione di non aggressività totale. Per quanto riguarda la prossimità con la morte, questo non ha che consolidato la mia visione secondo cui la morte è una scadenza biologica che rientra nel grande processo della vita, al quale tutti apparteniamo, insieme con gli animali e le piante. Morire è parte del programma di ogni cellula vivente e, credo, è quasi un nostro dovere: è assecondare il principio dell’eterno rinnovamento e rappresenta l’impegno di lasciare il posto a nuove generazioni ogni volta più forti, che contribuiscono meglio al progresso della vita. Siamo parte di un grande disegno biologico che prevede quattro tappe: nascere, procreare, allevare i figli, morire. Lo scorrere della vita in base a questo disegno è un bene.

Cosa dice a chi ha scoperto di avere un cancro? La verità?
Ai miei malati, anche ai più gravi, non ho mai nascosto nulla. È diritto del malato conoscere la verità circa il suo stato, ed è dovere di chi lo cura comunicargliela. Una persona malata per guarire, oltre ad aver bisogno di cure, ha bisogno di vivere un rapporto di fiducia con chi si prende cura di lei. Proprio perché il rapporto del malato con il proprio medico è una priorità, non può fondarsi sull’imprecisione o sull’equivoco. Quindi dire la verità sulla diagnosi è fondamentale, con tatto, ma va detta. Bisogna però distinguere sempre e nettamente la diagnosi dalla prognosi.

In che senso?
Se non si può barare sulla diagnosi, nella prognosi dobbiamo essere sempre ottimisti, anche perché non abbiamo mai certezze. Oggi il varco della speranza è diventato più ampio; mentre anni fa dare una speranza poteva apparire una forzatura, oggi guarisce il 60% dei malati di tumore e nelle donne colpite dal cancro al seno la percentuale sale all’80%.

Chi accetta la malattia con più coraggio?
Non c’è una regola. Ogni persona è un mondo a sé, speciale.

Quale il tipo di cancro che fa ancora paura?
Quello che non riusciamo a diagnosticare in fase precoce.

Quale quello su cui la ricerca ha fatto passi notevoli?
Il suo contrario, vale a dire i tumori per i quali disponiamo di efficaci strumenti e conoscenze per la diagnosi precoce, come quello del seno.

Quando si sconfiggerà il cancro, e cioè quando le case farmaceutiche non ostacoleranno più la battaglia a questa malattia?
Le case farmaceutiche, purtroppo in un certo senso, non c’entrano. A frenare la sconfitta del cancro non è un motivo economico-organizzativo, e francamente mi stupisce che qualcuno possa credere che siamo tutti vittime di una truffa malvagia di dimensioni planetarie, perché tale è la diffusione e il peso della tragedia del cancro. È vero che ci sono interessi molto forti, ma non tali da depistare i risultati della ricerca. Inoltre il cancro rimane una malattia grave, che richiederà cure avanzate tecnologicamente e farmacologicamente. Non si fermerà quindi la macchina organizzativa, anzi.

Ma quanto dovremmo aspettare?
Sono convinto che battere il cancro è ormai una questione di alcuni decenni (che, dal punto di vista della scienza, equivalgono a un periodo brevissimo). Non è possibile naturalmente fornire un tempo preciso, una scadenza esatta, perché la ricerca scientifica, in biomedicina, così come nelle altre discipline, vive in primo luogo di metodo e di principi, ma anche di intuizioni, di casualità, di fughe in avanti e di battute d’arresto.

Ci dia qualche speranza!
È comunque ragionevole pensare che fra qualche decina d’anni – non saprei dire se si tratterà di trenta o cinquant’anni, ma l’ordine di grandezza è quello – e con l’aiuto delle conoscenze sul DNA umano e le nuove tecnologie in grado studiarlo, riusciremo ad avere un controllo più esteso della malattia tumorale. Negli ultimi anni la ricerca ha preso un passo tale che, facendo un esercizio matematico, cioè valutando le scoperte degli ultimi dieci anni e il progressivo calo di mortalità, possiamo fare delle previsioni. E dire che, continuando così, saremo in gradoni un tempo non molto lontano di dare la spallata finale a questa malattia che fino a 50 anni fa si pensava imbattibile.

 

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Profilo Autore

Cinzia Ficco

Pugliese, classe ‘69, laureata in Scienze politiche, giornalista pubblicista, è responsabile del magazine www.tipitosti.it, il blog di chi non molla. Sposata, ha una bambina che si chiama Greta, si diverte a scrivere per lei racconti. Ha pubblicato Josuè e il filo della vita, Il re dalle calze puzzolenti, Tina e la Clessidra, con la casa editrice Edigiò. L’ultimo è Mimosa nel regno di sottosopra, pubblicato da Intermedia.

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