Pari opportunità o pari spartizione?

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Ecco la prima puntata del nostro avvocato del diavolo. Per delle vere pari opportunità anche gli uomini devono dire la loro.

Se la Costituzione della Repubblica Italiana fosse applicata completamente non ci sarebbe bisogno di alcuno specifico “sistema” di supporto alle pari opportunità, basterebbe l’articolo 3 a garantire la legittimità della piena uguaglianza dei cittadini. Purtroppo così non è ed è giusto, quindi, che vengano destinate risorse per ristabilire un equilibrio che è violato tutti i giorni.

Anche il nome “Pari Opportunità” (in sigla PO) è un bel nome. Primo – perché non si riferisce al solo problema dello squilibrio di “genere” ma è applicabile anche alla razza, alla lingua, alla religione, alle opinioni politiche, alle condizioni personali e sociali, come prevede, appunto, la Costituzione. Secondo – perché la parola “opportunità”’ pone l’accento sul vero scopo che gli interventi di riequilibrio dovrebbero avere: garantire a tutti i cittadini, in modo paritetico, la possibilità di partecipazione alla vita sociale e politica.
Sfortunatamente molti giusti principi trovano, a volte, declinazioni discutibili. In quanto avvocato del diavolo mi sento in dovere di evidenziarne alcune. Nel seguito mi riferirò solamente al tema di genere, per semplicità.

“PARI OPPORTUNITÀ È UNA COSA “DI DONNE”.
Non ho fatto un conto preciso ma, a sensazione, credo che il numero di responsabili e di collaboratori di sesso maschile delle strutture governative e aziendali che si occupano di PO sia prossimo al famoso epsilon piccolo a piacere della matematica. Ovvero quasi zero. Perché ? Se le strutture devono occuparsi di rimuovere ogni ostacolo all’affermazione dei diritti della “persona”’ al di là delle sue connotazioni di genere, perché solo le donne possono garantirlo ? Non si tratta, infatti, di favorire un sesso su di un altro ma di evitare ogni tipo di favoritismo, quindi è giusto che le PO siano un patrimonio di tutti, non “una cosa di sole donne” anche perché non dobbiamo dimenticare che ci sono la razza, la lingua, la religione, le opinioni politiche, le condizioni personali e sociali da considerare. In sostanza abbiamo un piccolo paradosso: le strutture che dovrebbero garantire le PO sono il primo posto dove le PO non sono affatto garantite ! Ahi, ahi… Al di la’ della facile battuta, sono più che convinto che finchè le PO verranno vissute (dalle donne ma soprattutto dagli uomini) come una “riserva di caccia” femminile non ci sarà una responsabilizzazione maschile sul tema.

PARI OPPORTUNITÀ NON VUOL DIRE PARI ESITI.
Questo è un altro grosso equivoco. Il fatto che tutti abbiano il diritto di accesso al processo di selezione per un lavoro o di attribuzione di una carica politica non vuol dire automaticamente che nei risultati si debba rispecchiare una presenza paritetica dei generi. Questo per tre fondamentali motivi: il primo è che in ogni particolare situazione (ricerca di lavoro, promozioni, candidature politiche etc.) non è affatto detto che siano interessati e si candidino alla competizione, che porterà all’assegnazione, un ugual numero di donne e di uomini. Se facciamo l’ipotesi che per una certa candidatura (10 posti di lavoro) si presentino 30 uomini e 70 donne (o anche il viceversa ovviamente) di pari capacità, perché doverci aspettare un’assegnazione 50%-50% dei posti ? A parità dei fattori rilevanti per la selezione sarebbe più equa una distribuzione 3 uomini e 7 donne, no? L’errore è pensare che le proporzioni debbano rispettare la composizione della popolazione in generale e non quella degli interessati alla selezione. In realtà c’è un altro fattore che interviene nel processo a rendere ancora meno sensata la equipartizione finale dei posti di lavoro: l’attitudine al ruolo. Uomini e donne sono diversi per tanti motivi, in termini di caratteristiche personali: fisicità, emotività, capacità relazionali, predisposizioni tecniche sono solo alcuni degli elementi che ci differenziano. E’ ragionevole, dunque, aspettarci che per ogni situazione vi siano delle possibili candidature di genere favorite rispetto ad altre. Detto in altri termini, esistono delle posizioni più femminili e posizioni più maschili al lordo degli stereotipi di genere (ovvero depurando il più possibile i pregiudizi). Quindi anche in presenza di una maggioranza maschile ai posti di partenza può darsi che la percentuale di assegnazioni più giusta sia a favore del sesso femminile e viceversa. Non ho mai sentito nessuno lamentarsi del fatto che i minatori siano in larghissima maggioranza maschi… sarà perché il rosa mal si sposa con la fuliggine ? 😉 o sarà che a presentarsi per quelle posizioni sono prevalentemente maschi e che il tipo di lavoro favorisce una certa fisicità che è più tipicamente maschile (con le sempre dovute eccezioni) ? Nel caso di cariche elettive, poi, la verifica di adeguatezza al ruolo è sostituita dal gradimento degli elettori. Se pure avessimo una lista di candidati totalmente paritetica prima delle elezioni, potremmo avere uno sbilanciamento di eletti a favore di un sesso dopo le elezioni a causa delle preferenze espresse in cabina elettorale, e sarebbe quello il risultato più giusto: il popolo è sovrano e sceglie chi gli pare indipendentemente dal genere. Garantire un certo numero di seggi di un consiglio comunale ai rappresentanti di un certo sesso, ad esempio, potrebbe essere incompatibile con la volontà sovrana degli elettori che esprimono le loro preferenze.
Infine il terzo elemento è la capacità individuale che rende una persona più adatta di un’altra anche dello stesso sesso per un determinato lavoro o posizione. Sarebbe sbagliato pensare che, a parte i lavori “di forza, tutti gli altri siano uguali in termini di attrattiva e attitudine per entrambi i sessi. Queste riflessioni dovrebbero suggerire che utilizzare la percentuale di presenza dei due sessi nelle varie cariche come indicatore di civiltà è una svista colossale (ed è quello che fa, ad esempio la Unione Interparlamentare riferendosi alla presenza femminile nei parlamenti, dando per scontato che ci sia un ugual numero di donne e uomini interessati alla funzione, pronti ad assumerne la responsabilità e che abbiano le stesse attitudini e capacità individuali). Oltretutto giudicare il progresso di un Paese in funzione delle sole posizioni apicali, che riguardano una ristretta minoranza della popolazione, è una operazione molto meno sensata di quella che andrebbe a guardare la piena applicazione della costituzione tra la gente comune” che non guiderà mai un CdA ma si sbatte tutti i giorni per arrivare alla fine del mese. Per valutare la corretta applicazione dell’articolo 3 dovremmo, quindi, trovare indicatori non di risultato (posti assegnati alle varie categorie) ma indicatori di pari opportunità di accesso e di competizione. In altri termini dovremmo trovare il modo di evidenziare se ci sono o meno discriminazioni nell’accettazione delle candidature o nel processo di qualificazione per le posizioni offerte a tutti i livelli della società. C’è da lavorarci su….

QUOTE ROSA.
Per quanto detto le quote rosa sono, a mio avviso, la più palese violazione dell’articolo 3 della Costituzione ! alcuni dicono: sì, magari, ma pragmaticamente, dove sono state applicate hanno portato ad un riequilibrio della presenza femminile nel mondo del lavoro e della politica. Come dire che per dare la libertà ai cittadini possiamo sospendere le garanzie costituzionali per un po’… ma solo per poco, eh ! Quando le cose si saranno tranquillizzate ripristineremo la libertà. C’è una metafora molto bella che ho letto in bacheca su facebook (ringrazio Magda Terrevoli per questo).Ve la ripropongo:
“A parte le classificazioni ed i numeri è importante capire che il cammino è molto lungo . Io ho sempre pensato che noi donne siamo obbligate a contribuire in una società le cui regole sono state scritte dagli uomini”. Pensiamo ad una corsa ad ostacoli con gli ostacoli di altezza tale da favorire solo una parte dei competitori. Gli altri dovranno o adattarsi o soccombere . Parliamo di cambiamento della società ma per farlo davvero sarà necessario riscrivere le regole del gioco, inventarci nuovi modelli di partecipazione . La differenza come punto di partenza. Non è facile ma è la sfida del futuro.”
Questa metafora è illuminante sul fatto che agire sulle PO significa assicurarsi che nessun atleta che voglia partecipare alla corsa venga discriminato e non arrivi ai blocchi di partenza se vuole gareggiare e che gli ostacoli non siano stati pensati per favorire qualcuno in base al genere ma che siano legati alla natura della corsa. Dopo di che la competizione parte e chi arriva arriva, uomo o donna che sia. Quote rosa significa che, indipendentemente dai partecipanti alla gara, alcuni posti sul podio sono già garantiti agli atleti solo in virtù del loro sesso e che possono pure prendersela comoda, tanto hanno il posto assicurato. Avere privilegi indebolisce la tempra, oltretutto, e questo non gioca nemmeno a favore dello sviluppo della competitività femminile nella conquista dei propri spazi. Il giusto processo di assegnazione delle posizioni che supera le discriminazioni è quello in cui la graduatoria di accesso venga fatta in base ai soli requisiti previsti e al buio delle appartenenze di genere. Occorre agire, invece, con molta determinazione sui fattori discriminanti in ingresso come l’equa partecipazione alla gestione della casa e dei figli, il congedo parentale, l’eliminazione dei pregiudizi sui ruoli attribuibili alle donne e così via. Non esistono facili scorciatoie alle PO, le quote rosa sono l’antipiretico della malattia: non risolvono le cause ma agiscono su uno dei sintomi!

OPPORTUNITÀ, NON SPARTIZIONE.
In molti casi sembra che reclamare maggiore presenza delle donne nelle istituzioni o nelle aziende somigli più alla spartizione di bottino tra i generi che non a un modo di superare gli ostacoli alla piena applicazione dell’articolo 3 della Costituzione. Lo stesso impiego pubblico sembra essere concepito più come un bene ereditario da dividere tra parenti in modo proporzionale che non un lavoro da coprire con competenze, qualifiche e attitudini appropriate indipendentemente dal sesso. E’ la vecchia logica del “posto fisso” pagato con soldi pubblici che, di questi tempi, è un bene prezioso e ambito… ma non esiste un soggetto giuridico “donne” ed uno “uomini”che hanno diritti ereditari da far valere.
Concludo l’arringa (il diavolo comincia a seccarsi della logorrea e mi dice di tagliare..) dicendo che credo fortemente che le donne siano svantaggiate, in questo momento storico in Italia, dalle regole del gioco in vigore ma che la strada da percorrere è tutta legata alle opportunità di accesso e di competizione e non all’assicurazione di bonus e privilegi di genere (di nessun genere !). Pertanto occorre anche inventarsi dati e indicatori da sorvegliare che non misurino la febbre ma l’esistenza della malattia.

 

Roberto Meli. Sono nato qualche anno fa a Bari (chi lo dice che nascondere gli anni è un vezzo femminile ?). Ho studiato al liceo classico ma ho scelto Fisica all’università per poi laurearmi in Informatica. Ho vissuto a Bari, Firenze ed ora a Roma. Faccio l’imprenditore di una società del terziario avanzato (www.dpo.it) e ho il cruccio di non essere ancora riuscito a spiegare bene a mia madre come mi guadagno da vivere. Felicemente sposato da molti anni (con la stessa donna, pensate un po’), ho due magnifiche figlie che adoro. Sono geneticamente portato a tentare di conciliare gli estremi ed a perseguire un impossibile equilibrio tra questi, trovandomi spesso a vivere in una terra di nessuno che non è ne’ di qua ne’ di la’. Ho una cultura classica di base ma adoro la tecnologia. Mi considero un maturo adolescente, esternamente placido ma internamente in ebollizione. Ho un animo perentoriamente maschile ma con una componente femminile molto accentuata. Amo assumere il ruolo di ”avvocato del diavolo” e di ”cortese provocatore” ma, spero, senza dogmatismi. Credo che questo abbia favorito l’idea di dare un contributo a questo sito.

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Roberto Meli

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