La piazza, di nuovo

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Di Cristina Obber

Questa mattina guardo la video-intervista a Penati (da Report) che trovate sul sito del Corriere, e mi colpisce una frase. Penati, in merito a qualcosa che qui non ha importanza citare, dice “una scelta tutta politica” contrapponendo a questa scelta il dovere, l’efficienza della società, il bene del contribuente, il buon esempio.
Metto in pausa e torno indietro, nel dubbio di non aver capito bene, di essermi confusa su una avverbio o una preposizione. Invece no, ha detto proprio così. Come se una scelta politica uno che segue l’etica non la dovesse fare.
Fantastico! Mi sembra di sentirlo, il calore del magma dell’indecenza che anno dopo anno si riversa lento su questa entità, su questa parola: politica.

Che non è vero che è sempre stata così, come dice qualcuno. Alle generazioni che si affacciano oggi alla politica (e all’informazione tra virgolette, come dice Travaglio) bisogna spiegare che un’altra politica c’è stata. E anche se sempre velata da un velo oscuro di connivenza tra interessi e poteri di ambigua natura, era comunque una politica che si occupava di economia, lavoro, istruzione, rapporti con l’estero, sanità, trasporti, ecc. Una politica che era istituzione. Fatta da persone che con tutti i loro limiti attitudinali e morali, comunque si erano preparate per fare politica, avevano lavorato nella società e nella politica prima di diventare non solo parlamentari ma soprattutto ministri. Perché fare il ministro è cosa seria, è difficile e molto impegnativo. Puoi farlo meglio o peggio, ma se non lo sai fare, il paese di ferma.
E allora mi è venuto in mente quello che ha detto Zagrebelsky alla manifestazione Ricucire l’Italia, a Milano: “Questa non è una piazza antipolitica ma è una piazza pre-politica”, cioè è una piazza che “richiama i partiti quali che essi siano affinchè recuperino la loro funzione politica”, che “la smettano con le divisioni personali, di corrente, di interessi”, che possano “individuare quali sono i punti fondamentali della crisi del nostro paese, pochi, e su questi insistere, insistere, insistere”.

Il problema non è dunque eliminare una persona dalla politica, perché farci governare da una “seconda fila” porterebbe solo ad altre delusioni, all’eclissarsi della democrazia, ad un avvenire dove ognuno smetterà di sperare e “si chiuderà in casa sui suoi piccoli interessi e delegherà le grandi decisioni a qualcun altro”.

Perchè “non è questo l’avvenire che vogliamo”. Mentre Zegrebelsky parlava mi tornavano in mente le parole di Giacomo Ulivi, partigiano fucilato nel ’44, che in una lettera ai suoi amici scriveva:
“Quanti di noi sperano nella fine di questi casi tremendi per iniziare una laboriosa e quieta vita dedicata alla famiglia e al lavoro? Benissimo! Ma in questo bisogno di quiete, nel tentativo di allontanarsi il più possibile da ogni manifestazione politica è il più tremendo, il più terribile risultato di un’opera di diseducazione ventennale che è riuscita a inchiodare molti di noi nei pregiudizi, fondamentale quello della sporcizia della politica. No, non dite di essere scoraggiati, di non volerne più sapere, perché tutto è successo perché non ne avete voluto più sapere”.

E qual è stato quell’avvenire lo sappiamo. E forse non è un caso che alla manifestazione sia intervenuto anche il presidente dell’Anpi, Carlo Smuraglia, e abbia parlato di un “cemento” di moralità e dignità, di un cemento di valori che ha unito per anni gli italiani, lui è uno che sa che non siamo sempre stati così.

Cosa mi sono portata a casa dalla manifestazione? Qualcosa in più di una speranza, perché le persone erano tante, erano lì, strette strette sotto un sole luminoso. Siamo uniti, siamo usciti dalle nostre case, siamo arrivati all’agire; e questo governo lo sa, e ha paura. E allora ci prova con la legge bavaglio ma non lo permetteremo, scenderemo in piazza ancora, e come ha detto Sandra Bonsanti nel suo intervento, “in occasione delle prossime elezioni non daremo il voto a chi voterà in parlamento la legge bavaglio”. Perché è di questo governo-baraccone che non ne vogliamo più sapere. Della politica vogliamo saperne, eccome. Di nuovo.

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